giovedì 6 giugno 2013

Film 558 - Miele

Ancora cinema italiano, questa volta attirato dalle numerose buonissime recensioni. E dall'esordio alla regia di una come Valeria Golino.

Film 558: "Miele" (2013) di Valeria Golino
Visto: al cinema
Lingua: italiano
Compagnia: Marco (Mi)
Pensieri: Valeria Golino è uno di quei personaggi che ti piace o non ti piace, senza troppe vie di mezzo. Personalmente ciò che apprezzo di lei è che fa esattamente quello che vuole fare, scegliendo ogni volta un nuovo modo di mettersi in gioco.
Questa volta la prova è più ardua, dato che per "Miele" ha scelto non di recitare, ma di scrivere la sceneggiatura - liberamente tratta dal romanzo "A nome tuo" di Angela Del Fabbro - e di curarne la regia decretando, di fatto, il suo esordio nel campo del lungometraggio. Un esordio che non passa inosservato.
La Golino ha un occhio molto attento per i particolari fisici, su cui spesso decide di soffermare l'inquadratura per determinare in maniera efficace ed inequivocabile i sentimenti dei suoi personaggi. Così facendo, tra l'altro, riesce nell'intento di creare un contatto con lo spettatore, un'intimità profonda che lo legherà a Irene/Miele per tutta la durata del film. In queste scelte molto 'fisiche' Jasmine Trinca è sempre perfetta: sguardo intenso ed emotivamente molto carico, un corpo al servizio del racconto che non si risparmia niente e, anzi, gioca di squadra con la telecamera, finendo per raccontare tutto ciò che le parole non possono dire. Sicuramente da questo punto di vista "Miele" riesce bene.
Ho trovato, invece, che a volte si scivoli sui dialoghi. Un'impostazione troppo rigida e antiquata delle parole a volte finisce per rendere i discorsi tra i personaggi irreali o talmente impostati da risultarlo. Succede, così, che in alcuni passaggi il lavoro di fiction si palesi, guastando la naturalità interpretativa che regna per quasi tutta la pellicola. La Trinca in quest'ottica funziona quasi sempre, ma anche lei finisce per commettere qualche passo falso che, comunque, non intacca di fatto l'idea generale della sua buona performance.
Tra i comprimari Carlo Cecchi è certamente quello che rimane più impresso, bravissimo nell'interpretazione dell'ingegnere che diventa per breve tempo amico di Irene. I due, che prima si scontrano, finisco per scoprirsi anime affini (quasi una relazione platonica) e per il breve momento in cui condivideranno il loro tempo, riusciranno ad abbattere i reciproci muri eretti giocoforza ognuno per tutelare i propri segreti (la depressione per l'ingegnere, il lavoro per Irene). Inutile dire che l'amicizia cambierà necessariamente le loro prospettive, dove per la ragazza porterà ad una decisione drastica legata al suo silenzioso 'impiego' e per l'uomo un cambiamento di approccio al suicidio - che, se vogliamo, diventa una specie di atto di coraggio rispetto a ciò che prima l'ingegnere non si sentiva di fare, ovvero preferendo mettere fine alla sua vita di nascosto e in solitudine, fuggendo gli sguardi indiscreti altrui, approccio che pare evidente l'uomo abbia tenuto anche negli ultimi anni della sua vita -.
Pure qui l'unico neo all'interpretazione di Cecchi è una piccola cosa: a volte si mangia le parole e non sempre si capisce chiaramente tutto ciò che viene detto (a volte anche a causa dell'audio, bisogna dire, non sempre perfettamente distinguibile).
Nel complesso, insomma "Miele" mi ha lasciato un'impressione positiva. Tratta tematiche molto complesse (eutanasia, suicidio, malattia, dignità, etica) fornendo un punto di vista che, condivisibile o meno, non può non essere almeno preso in considerazione. Quello di Miele più che un lavoro è una missione in cui lei stessa crede fermamente fino a quando un 'elemento di disturbo' non le imporrà, se non una scelta morale, la necessità di schierarsi dalla parte delle sue convinzioni.
Nonostante i temi, il film non è né duro né buonista e, anzi, analizza e propone il tutto in maniera molto naturale. Lo spettatore, uscito dalla sala (io per un po' di tempo sono dovuto rimanere in silenzio a riflettere), deciderà cosa pensare dell'argomento senza poter però mettere in dubbio che il lavoro della Golino stimoli quantomeno una riflessione. Della serie: può piacere come non piacere, ma inevitabilmente si finirà per soffermarsi a pensare su quanto si è appena visto. E questo è certamente un valore aggiunto non comune a tutti i film dei giorni nostri.
Ps. Presente a Cannes 2013 nella sezine Un Certain Regard, si è portato a casa una menzione speciale da parte della Giuria Ecumenica (che lo ha segnalato assieme al giapponese "Soshite chichi ni naru").

Consigli: Il finale è prevedibile a causa di un particolare che viene svelato durante la narrazione. Sarebbe meglio non ragionarci troppo per evitare che ci si rovini proprio l'ultima scena del film, ma effettivamente è difficile non immaginarsi cosa accadrà (in chiave un po' troppo romantico-nostalgica per i miei gusti).
Il respiro internazionale della pellicola fa un certo effetto considerando che è l'esordio alla regia di un'attrice che porta al cinema tematiche tanto controverse, ma certamente la sorpresa aggiunge appeal al progetto, evitandogli quel tono provinciale solitamente comune alle pellicole italiane.
Nel complesso, quindi, vale la pena dare una chance a questa pellicola, anche solo per confrontare sé stessi con le situazioni riportate dalla sceneggiatura e regalarsi un punto di vista in più sulla questione. La Trinca poi è brava e l'intensa interpretazione - un po' lesbo dark - colpirà sicuramente lo spettatore.
Parola chiave: Lamputal.

Trailer

Bengi

Nessun commento:

Posta un commento